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Il conciliatore deve essere esperto di quali materie?
Il terzo conciliatore deve avere competenze in diversi ambiti professionali. Innanzitutto, deve saper gestire in modo efficiente, autorevole, imparziale, indipendente, equiprossimo ed equidistante, ogni negoziazione tra le parti in conflitto; in secondo luogo, deve conoscere l’oggetto della controversia (problematiche giuridiche, economiche); deve saper utilizzare al meglio le tecniche di comunicazione; infine, deve saper affrontare la negoziazione, prestando attenzione anche al profilo emozionale delle parti, anche mediante un utilizzo sapiente delle domande.
Con la conciliazione le parti delegano al conciliatore il potere di definire il loro conflitto?
Attraverso il procedimento di conciliazione, le parti prendono in mano la propria controversia, decidono di responsabilizzarsi e di divenire parti attive dello stesso, senza alcuna delega all’avvocato nella gestione di un processo e al giudice per la definizione etero imposta della propria controversia. Scegliere la conciliazione significa riscoprire l’importanza di essere parte nel conflitto in atto e di saper ascoltare e comunicare le altrui posizioni, interessi e bisogni.
Perché si parla di decisione etero-imposta in caso di definizione giudiziale della disputa?
Il processo si caratterizza per una duplice delega iniziale. Una prima delega, conferita da una persona all’avvocato, attraverso cui attaccare le altrui posizioni, certezze processuali, puntando molto sulla litigiosità, sullo scontro, sull’assenza di dialogo diretto tra le parti; una seconda, indirettamente conferita dalla parte al giudice, affinchè decida la controversia con un provvedimento motivato e imponga la definizione del caso concreto. Tale definizione è detta in gergo ‘etero-imposta’, in quanto non è condivisa dalle parti, che non hanno preso parte direttamente al processo, e non corrisponde mai appieno ai propri reali interessi e bisogni.
Il procedimento arbitrale ha una maggiore rigidità della conciliazione?
Arbitrato e conciliazione rappresentano due distinti metodi di composizione dei conflitti, il primo costituendo un vero e proprio giudizio privato, la seconda avendo una connotazione chiaramente negoziale e stragiudiziale. Il procedimento arbitrale trova la propria disciplina più immediata nel codice di rito, che gli conferisce una maggiore rigidità sotto il profilo procedurale; quello di conciliazione, al contrario, pur essendo generalmente definito in poche regole e principi contenuti in appositi Regolamenti di conciliazione, può, con l’assenso di tutte le parti, essere reso ancor più flessibile e semplice dal punto di vista operativo.
Cosa si intende per negoziazione professionale assistita quando si parla di conciliazione?
Il termine negoziazione viene utilizzato per indicare le trattative che le parti conducono, partendo da iniziali prese di posizione nette e distanti, per poi concordare possibili soluzioni comuni. La professionalità è testimoniata dal percorso formativo, di crescita, competenze, esperienza maturati dal terzo conciliatore che è chiamato di volta in volta a gestire un conflitto. L’assistenza implica il coinvolgimento di tale terzo nella ricerca di soluzioni che devono essere elaborate dalle parti direttamente, con l’ausilio e l’autorevolezza dello stesso, e senza conferire a questi alcun ruolo di giudice o arbitro della controversia.
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